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Importante: QUAESTIONES DISPUTATAE DE AUTISMO ET IUNCTIONE (aut Affecto, aut Amore, aut....Alio) (Ovvero: Attaccamento e Autismo - appunti e contrappunti) Testo di Angelo Inverso

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Messaggio Da massimoportas Mar Mag 21, 2019 10:53 am

QUAESTIONES DISPUTATAE DE AUTISMO ET IUNCTIONE
(aut Affecto, aut Amore, aut....Alio)
(Ovvero: Attaccamento e Autismo - appunti e contrappunti)
Angelo Inverso

A) CHE COSA SIA L'AUTISMO
Kanner identifica come specifici del disturbo autistico:
• la marcata incapacità alla relazione, già all'inizio della vita, con persistente isolamento (aloneness)
• l'incapacità ad usare il linguaggio per comunicare
• la paura ossessiva per i cambiamenti (sameness)
• l'attrazione fascinatoria per gli oggetti che possono essere maneggiati con abilità
• l'apparente buona potenzialità cognitiva.

Wing introduceva il concetto di spettro, riferendolo a tre caratteristiche:
• compromissione qualitativa dell’interazione sociale
• compromissione qualitativa della comunicazione
• modalità di comportamento, interessi ed attività ristretti, ripetitivi e stereotipati.

Il sistema ICD 10 mantiene questa suddivisione e specifica che le anormalità comprendono
• la compromissione qualitativa dell'interazione sociale
• la compromissione qualitativa della comunicazione
• i modelli di comportamento, interessi e attività limitati, ripetitivi, stereotipati.


Il sistema DSM5 unifica le due prime caratteristiche e propone i seguenti criteri diagnostici:

A) Deficit persistenti nella comunicazione e nell' interazione sociale, che si manifestano attraverso tutti i seguenti criteri:
• Deficit nella reciprocità socio-emozionale
• Deficit nella comunicazione verbale e non verbale
• Deficit nello sviluppare e nel mantenere relazioni sociali

B) Un pattern ristretto e ripetitivo di comportamenti, interessi o attività, (siglato da qui in avanti come RRBs) che si manifesta in almeno due dei seguenti criteri:
• Eloquio, movimenti  o uso degli oggetti stereotipato o ripetitivo
• Eccessiva aderenza a routine, pattern ritualizzati di comportamenti verbali o non verbali, oppure eccessiva resistenza al cambiamento
• Interessi altamente ristretti e fissi, atipici per intensità o per focalizzazione
• Iper- o Ipo- sensibilità a input sensoriali o interessi atipici per aspetti sensoriali dell’ambiente

C) I sintomi devono essere presenti nell’infanzia

D) I sintomi, nel loro insieme, limitano e compromettono il funzionamento quotidiano.

Le ipotesi patogenetiche formulate per dar conto della sintomatologia presente nell'autismo sono numerose e nessuna di esse conclusiva.
Le ricordiamo brevemente.
I modelli più diffusi in letteratura sono quelli che fanno riferimento a deficit di natura neuropsicologica. Questi possono riguardare una compromissione generale dello sviluppo simbolico e concettuale oppure un deficit “dominio-specifico” nella cognizione sociale (ad esempio un deficit di Teoria della Mente).
Esistono poi ipotesi che fanno riferimento a possibili  deficit “dominio-generali” dei processi percettivi, di apprendimento e concettuale, quali potrebbero essere il  deficit delle Funzioni Esecutive o la Debole Coerenza Centrale (DDC). Altre ipotesi ancora fanno riferimento ad un possibile deficit di abilità precoci di orientamento e motivazione sociale (Attenzione condivisa, Imitazione, Orientamento preferenziale verso stimoli sociali) e potrebbero riguardare il face processing, la percezione dei movimenti corporei, la sensibilità alla direzione dello sguardo e l'attenzione condivisa, l'imitazione e il coinvolgimento dei neuroni specchio.
Idee ed ipotesi più vicine a modelli relazionali (anche se in senso lato) e  sottorappresentati in letteratura si avvicinano ad un pensare psicoterapeutico.Già Kanner ipotizzava che in origine l'autismo potesse essere ricondotto ad un ridotto “contatto affettivo”. Questa linea interpretativa è ripresa, in varie forme, da alcuni importanti autori.
Trevarthen, ad esempio, basandosi sulle sue osservazioni sui bambini molto piccoli, ritiene che l'autismo sia una disfunzione degli scambi emotivi fra madre e bambino.Essa potrebbe avere origine da una possibile fragilità dell'organizzazione emotiva del bambino piccolo, da  cui scaturirebbe una modalità relazionale che si sviluppa accrescendosi, fino a configurare il quadro relazionale che osserviamo nell'autismo.
Anche Bruner e Feldman (1993) ipotizzano che un disturbo affettivo primario interferisca con la “comprensione intuitiva e sintonica” che il lattante ha dei sentimenti materni.
Hobson (2004) offre un modello psicopatologico più compiuto dell'autismo  e lo descrive come un “disturbo del contatto affettivo”. Partendo dal presupposto che i bambini acquisiscano una conoscenza della mente degli altri attraverso le proprie esperienze intersoggettive, Hobson sostiene che i bambini nascano con l'innata predisposizione a mettersi in relazione con gli altri attraverso l'espressione delle proprie emozioni, avendo una capacità di rispondere in modo spontaneo con il loro vissuto “sentimentale” ai sentimenti, alle espressioni, ai gesti, e alle azioni delle persone attorno a loro. Queste capacità sono biologicamente “pre-costituite” e consentono la percezione diretta delle emozioni e degli atteggiamenti altrui, da cui si inizia a sviluppare la consapevolezza che gli altri sono esseri separati dal soggetto, dotati di sentimenti, pensieri, convinzioni e atteggiamenti propri. Lo sviluppo dei concetti di “se stesso” e “altro”, la capacità di condividere e/o differenziarsi nei sentimenti, pensieri, credenze e atteggiamenti, è un presupposto indispensabile per uno sviluppo e un funzionamento efficaci della Teoria della Mente. Secondo Hobson, “capire la mente significa anche capire la natura dei sé dotati di mente”. Mancando, appunto, ai soggetti autistici un contatto intersoggettivo, sono impossibilitati a conoscere le persone e i loro stati psicologici.
Quaestio: La diagnosi di Disturbo di Spettro Autistico ha intrinseca validità e identifica con certezza un'entità unitaria?

APPUNTO: E' a tutti noto che la categoria di “Autismo Infantile” è scomparsa dalla classificazione DSM. Al suo posto è stata inserita quella di “Disturbo dello spettro autistico” Questa modifica è stata spiegata con il cambiamento di criteriologia classificatoria, ricorrendo al concetto di classificazione dimensionale piuttosto che categoriale. I vantaggi e l'opportunità di questo cambiamento vengono dettagliatamente spiegati dagli estensori del sistema, ma possono essere ricondotti alla considerazione che l’autismo è caratterizzato da un insieme comune di comportamenti ed è, perciò, meglio rappresentato da una singola categoria diagnostica, che si possa adattare alle presentazioni cliniche individuali, piuttosto che da una molteplicità di condizioni. In questo gli estensori hanno seguito la concettualizzazione di Wing, che inaugurava la categoria di “spettro” per indicare che i sintomi centrali, riassumibili in una triade, si manifestavano con intensità variabile, ma che formavano un pattern unitario. La triade è stata ridotta nel sistema DSM 5 ad una duplice categoria, i disturbi della reciprocità sociale e la ristrettezza degli interessi - ripetitività dei comportamenti - la resistenza ai cambiamenti, che si può o meno accompagnare o essere sostituita da una atipia delle reazioni sensoriali. Questi, che si devono considerare i sintomi centrali, si possono o meno accompagnare ad altri sintomi non specifici.
Le decisioni  degli estensori del sistema sono state basate sulla letteratura, la consultazione di esperti e le discussioni nei gruppi di lavoro; i dati sono stati in un secondo momento confermati dalle analisi statistiche della CPEA e STAART (Università del Michigan) e i database del Simons Simplex Collection.

CONTRAPPUNTO:  Questo ragionamento è variamente contestato.
• Nell'articolo di Waterhouse L, London E e Gillberg (ASD validity- Review.), ad esempio, una “quasi” Review, pubblicata nel 2016, cui è seguita nel 2017 una Letter to the editor degli stessi autori alla rivista  Autism Research  (The ASD diagnosis has blocked the discovery of valid biological variation inneurodevelopmental social impairment), di replica ad un editoriale di Muller R.A e Amaral D.G. (Time to give up on autism spectrum disorder?), pubblicato sulla stessa rivista.
Poichè è un articolo di grande importanza per la autorevolezza dei suoi autori e per la vastità della ricerca, lo propongo come linea guida.
Alla luce della revisione di un'amplissima bibliografia, gli autori evidenziano che la diagnosi di ASD (Disturbo dello Spettro Autistico) deve essere considerata priva di validità.
Gli autori  puntano l'attenzione sia sulla mancanza di evidenze provenienti dalla ricerca biologica, sia sulla validità dello stesso costrutto.
Mi soffermo brevemente su quest'ultimo tema in quanto rilevantissimo per il clinico.
I motivi di mancanza di validità del costrutto sono i seguenti:  
• Una forma pura, ossia provvista dei soli sintomi “core”, si riscontra solo nel 4% delle diagnosi.
• I sintomi “core” si presentano associati solo in un numero limitato di casi, la maggior parte delle volte alla disabilità sociale non si associa la componente RRBs.
• Molti bambini che hanno avuto uno sviluppo tipico hanno presentato condotte RRBs nella prima infanzia, mentre è il disturbo sociale che è piuttosto raro nello sviluppo tipico.
• Il Disturbo dello Spettro Autistico mostra molti sintomi comuni ad altre condizioni psichiatriche.
• Non ci sono predittori precoci cerebrali o comportamentali di un possibile  sviluppo verso un Disturbo di Spettro Autistico.
• Il percorso di sviluppo di soggetti con questa diagnosi è varia, come varia è la prognosi.
• I fattori di rischio genetici o ambientali sono talmente numerosi da perdere ogni significatività.
• Non esistono caratteristiche fenotipiche in fratelli o genitori di soggetti con diagnosi che siano significative.
• Benchè siano stati identificati da diversi autori sottogruppi omogenei, questi non sono stati replicati in altri studi e perciò sembrano non consistenti.

2) Allen Frances, in un notissimo libro, contesta i criteri stessi del sistema DSM 5. Nel capitolo dedicato all'autismo evidenzia la possibilità che, anche per l'autismo come per altri disturbi, il confine tra normalità e patologia venga reso a tal punto labile da includere tra i soggetti affetti da un disturbo casi di pura variabilità individuale. In effetti, se l' ipotesi della dimensionalità fosse integralmente vera, le manifestazioni comportamentali del soggetto con disturbo sarebbero parte del normale funzionamento della specie umana e la patologia non comporterebbe alcuna differenza qualitativa tra soggetto normale e soggetto affetto.  Questa ipotesi sembra essere smentita dal riscontro della rarità con cui i sintomi relativi al disturbo delle relazioni sociali si riscontrano nei soggetti con sviluppo normale (Coplan, 2013).
Un diverso problema, che verte sulla stessa difficoltà, è stato identificato in uno studio epidemiologico condotto negli USA da Polyak nel 2015 e citato da Waterhouse e colleghi. L'autore rileva che dal 2000 al 2010 le diagnosi di Disturbo di Spettro Autistico sono aumentate del 331%, mentre la proporzione totale di diagnosi di disturbi psichiatrici nella popolazione è rimasta immodificata.Contemporaneamente sono diminuite del 31% le diagnosi di Disabilità Intellettiva, del 22% quelle di Disturbo Emozionale, del 19% le diagnosi di Disturbi di Apprendimento. Gli autori ipotizzano che parte dell'incremento diagnostico altro non sia che un trasferimento dei disturbi da una categoria all'altra per motivi di carattere prevalentemente sociale.
Crittenden, in una recente review (2017), ipotizza che questo incremento possa essere dovuto al confluire della necessità dei genitori di avere una spiegazione dei sintomi dei loro bambini e dei trattamenti specifici, con quella degli insegnanti, di avere la possibilità di formare classi omogenee (e perciò di diagnosi che possano condurre a richiedere classi ed educatori speciali per la popolazione disomogenea).
In Italia la situazione è solo in parte diversa, la pressione sui clinici per ottenere diagnosi che portino all'attivazione di percorsi speciali per bambini con difficoltà è fatto troppo noto e tale da non richiedere speciali referenze bibliografiche.In questa chiave può essere letta la recente legislazione sull'autismo, sia a livello nazionale che regionale (ndr).
Waterhouse e colleghi osservano, infine, che nonostante la evidente inadeguatezza della categoria diagnostica, essa si sia diffusa e abbia sostitito altrecategorie diagnostiche, pur essendo contemporaneamente ipo ed iperinclusiva, in forza di un Social  Exchange.
E' ipoinclusiva in quanto nega la diagnosi a soggetti che pur, presentando deficit nella socializzazione, non abbiano contemporaneamente ristrettezza di interessi e attività (e tutto ciò che va sotto la sigla RRBs) o risposte sensoriali atipiche, che è condizione dimostratasi tutt'altro che infrequente.A questo proposito si vedano, ad esempio, la ricerca di Mandy e colleghi del 2011 e quella di McPartland e colleghi del 2012. Nella prima, si evidenziava che la presenza di RRBs  era rilevabile solo nel 3% dei soggetti diagnosticati come affetti da Sindrome di Asperger o Disturbo Generalizzato di Sviluppo Non Altrimenti Specificato e sarebbero, secondo i criteri del DSM 5, esclusi dalla diagnosi. La ricerca di McPartland evidenzia la stessa circostanza osservando come soggetti già diagnosticati con i criteri del DSMIV-TR non sono ammessi alla diagnosi con i criteri DSM5 A questa difficoltà gli estensori della classificazione tentano di far fronte introducendo la categoria di “Disturbo della Comunicazione Sociale”, tuttavia Bishop osserva che la categoria dei disturbi di linguaggio come codificati nello stesso DSM5 sia difettosa e imprecisa, mentre Norbury mette in guardia dal rischio generato dalla sovrapposizione di sintomi tra le due categorie.
Oltre ad essere ipoinclusiva, la diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico è anche e contemporaneamente iperinclusiva, in quanto tende ad includere in essa altri tipi di diagnosi (principalmente il Disturbo Reattivo dell'Attaccamento), come già evidenziato in precedenza.
Infatti, gli autori concludono dicendo che la diffusione e accettazione da parte dei clinici della diagnosi di Disturbo di Spettro Autistico ha supportato la credenza che esso sia un'unica entità, ma questa credenza è infondata alla luce dei risultati della ricerca. Nella recente letteratura, a proposito del punto 2, viene citata la possibile, frequente, sovrapposizione tra Disturbo dello Spettro Autistico e Disturbo Reattivo dell'Attaccamento (e/o Disturbo Disinibito dell'Attaccamento). Alcuni autori propongono che i sintomi comuni alle due condizioni  possano essere parte della più generale categoria delle “difficoltà di attaccamento”; altri ritengono che sia possibile identificare una sintomatologia specifica dei pazienti con Disturbo di Spettro Autistico, altri ancora che la storia personale e di sviluppo offra la possibilità di una diagnosi differenziale. Altri, infine, rilevano come sia possibile che le due condizioni coesistano. In generale, risulta evidente che affidarsi al solo rilievo sintomatologico (anche con strumenti standardizzati), in assenza di una valutazione clinica, non sia sufficiente ad una diagnosi e che, in ogni caso, sarebbe preferibile utilizzare una formulazione sistematica del caso, piuttosto che una diagnosi categoriale esclusivamente sintomatologica.
3) In una review effettuata da Crittenden (2017), che continua quella iniziata nel 2014, a cui ha partecipato il nostro valentissimo collega Andrea Landini, conferma quanto esposto nella ricerca di Waterhouse, circa la non conclusività delle ricerche biologiche sulle caratteristiche del disturbo e l'inadeguatezza degli eventuali modelli fisiopatologici dello stesseo. L'autrice evidenzia con forza che gli studi focalizzati sull'osservazione, sia del comportamento relazionale del bambino che delle madri, mettono in rilievo la prevalenza di segnali posturali e gestuali per regolare la distanza da parte delle madri, l'attenzione prevalente dei bambini ai segnali corporei delle madri senza guardarne il viso, il maggior comfort da parte delle madri quando si avvicinavano al bambino piuttosto che quando era il bambino ad avvicinarsi a loro.
CONCLUDO DICENDO: Sembrerebbe che il concetto di autismo sia da riferire essenzialmente ad una difficoltà nel costruire e mantenere relazioni sociali. Questa caratteristica non è condivisa da soggetti con sviluppo tipico, mentre lo è da parte di soggetti con diagnosi di Disturbo dell'Attaccamento e, meno frequentemente, da altre condizioni psicopatologiche (Simms 2017). Esiste perciò una vasta area di sovrapposizione sintomatologica la quale fa sì che la diagnosi fondata esclusivamente sui sintomi possa essere fuorviante o del tutto erronea. Alla luce di tutto ciò ci si può chiedere, innanzi tutto, quanto la selezione attraverso l'uso di strumenti standardizzati (quali le interviste e le osservazioni strutturate) del campione dei soggetti affetti sia tanto accurata da fornire risultati conclusivi alle ricerche condotte su tali campioni. In secondo luogo, si dovranno prendere in rapida e seria considerazione le proposte avanzate da molti clinici di ricorrere a strumenti diagnostici e concettualizzazioni del disturbo che integrino le metodologie attualmente in uso (Crittenden, 2017; Mayes e coll. 2017; McKenzie e Dallos, 2017; Simms, 2017).

B) COSA SIA L'ATTACCAMENTO
(ovvero, ogni concetto ha una storia: se vuoi capirne il senso impara a ripercorrerla)

All'inizio della storia c'è Sigmund Freud e il problema di dare una spiegazione alla stessa relazionalità del bambino all'interno del suo modello pulsionale dello sviluppo. Una spiegazione che si rendeva necessaria solo a partire dall'ipotesi (data per certa) che “in origine” l'essere umano fosse separato dal mondo e che la relazione con il mondo dovesse essere costruita a partire da uno stato di completa singolarità. Da questa premessa scaturiva la domanda del dove nascesse l'Amore e del  perchè un bambino sviluppasse una relazione con qualcuno cui “attaccarsi”.
Quel che segue è storia nota e tante volte raccontata. John Bowlby inizia la sua opera interessandosi delle conseguenze nel bambino della separazione dalla (e della deprivazione della) figura materna, ovvero del ruolo che hanno i fattori ambientali nello sviluppo infantile, e prosegue costruendo un modello relazionale della mente, in cui la chiave dello sviluppo di legami sociali non sarebbe la gratificazione orale, ma la qualità dell'accudimento ricevuto.
Quel che risultò lampante nelle osservazioni condotte da Bowlby fu che accudire fisicamente i bambini, fornendogli cibo e protezione fisica non bastasse e che fosse necessario qualcos'altro e, ancor più, che senza questo qualcos'altro i bambini andavano incontro ad un grave deterioramento fisico e psicologico.
Bowlby fornisce una prima ipotesi nel 1957: il neonato presenta delle risposte istintuali che maturano nel corso del primo anno di vita (succhiare, stringersi, piangere, seguire, sorridere) e che si organizzano in un comportamento più complesso, diretto verso una specifica figura.
In questa prima parte della storia due sono le evidenze che resistono intatte e incontestate:
• Che la sopravvivenza, il benessere, il normale sviluppo dell'essere umano necessita di presenze umane che forniscano vicinanza e relazione, non solamente nutrimento e protezione.
• Che il bambino costruisce legami preferenziali la cui rottura o la cui perdita genera una sofferenza ed una reazione ad essa, che nel loro complesso costituiscono la reazione di lutto.
Intorno a queste prime evidenze, nel 1959,  Bowlby inizia a formulare la sua teoria.
Era chiaro a questo punto che il legame costituitosi tra bambino e madre non fosse secondario a soddisfacimenti pulsionali e che la teoria psicoanalitica tradizionale fosse insufficiente a spiegare l'intenso attaccamento del bambino alla madre e la drammatica reazione alla separazione.
La seconda  parte della storia inizia con la formulazione del concetto di “Attaccamento” da parte di Bowlby (l'Attaccamento viene definito come un legame selettivo tra bambino e caregiver, 1969). E' a questo punto che Bowlby si sgancia dalla teoria pulsionale e formula una teoria “cibernetica”. In questa teoria l'attaccamento è concettualizzato come un sistema dinamico orientato ad uno scopo, che sarebbe quello di mantenere la vicinanza protettiva della madre.  
Il punto critico, su cui richiamo l'attenzione, è che in questa concettualizzazione il legame del bambino alla madre viene depotenziato, non rendendo “giustizia della straordinaria ricchezza di scambi e interrelazioni tra la madre e il figlio nel primo anno di vita” come dice appunto Spitz nel suo intervento di critica allo scritto Grief and mourning in infancy and early childhood, in cui Bowlby inizia la sua costruzione teorica.
La continuazione della mia ricostruzione incrocia a questo punto l'opera di Mary Ainswort e la costruzione del paradigma sperimentale della “strange situation” mediante il quale si operazionalizzava l'attaccamento.
Questo lavoro produce due diversi effetti. Da un lato fornisce precisione al concetto, spostando il punto di vista dalla nozione sfocata di “amore” ad un set di comportamenti misurabili, come afferma Rutter, dall'altro sottolinea una particolare dimensione dell'attaccamento, ossia la ricerca di prossimità in risposta allo stress (questa dimensione viene definita da Vivanti “Externally-driven attachment respons”), mentre l'originario concetto  concepiva l'attaccamento come ricerca della madre in funzione di conforto in situazioni di turbamento (“internally-driven  attachment”).
In questo modo ciò che si guadagna in precisione si perde in estensione.
E siamo ad oggi e alle ricerche relative all'attaccamento nell'autismo.







Quaestio: E' plausibile che nello sviluppo del disturbo autistico (o nei disturbi dello spettro autistico) possano coesistere sicurezza nell'attaccamento e ridotta reciprocità socio-emozionale, con una bassissima o assente motivazione per l'interazione sociale?

APPUNTO:
• A partire dallo studio di Sigman e Ungerer, che già nel 1984 dimostravano che il disturbo autistico era compatibile con un attaccamento sicuro, si sono susseguiti nel tempo studi, che usano diversi strumenti di indagine e che hanno confermato in varia forma questa conclusione.
• La maggior percentuale di attaccamenti disorganizzati rilevati nel campione dei soggetti autistici quando si confrontano con soggetti con sviluppo tipico, scompare se si confrontano i bambini con autismo con soggetti  non autistici, ma con ritardi che non investono la sfera relazionale.
• Sembrerebbe, infine, che la review condotta da Rutger, Bakermans-Kranenburg, van Ijzendoorn e van Berckelaer-Onnes nel 2004 abbia detto una parola conclusiva sulla questione Le conclusioni dello studio affermano che “l'attaccamento sicuro è compatibile con l'autismo e questo può essere misurato con procedure tipo Strange Situation”. I risultati della review mostrano che in “strange situation” la percentuale di attaccamenti sicuri era del 53% nei bambini con autismo, percentuale sostanzialmente simile a quella presente nei soggetti con sviluppo tipico.

CONTRAPPUNTO:
• Vivanti sostiene che i comportamenti di attaccamento externally-driven e quelli internally-drive siano dissociabili. Può essere che nei bambini con autismo sia sicuro il primo, che si attiva in situazioni di stress o minaccia  e che viene evidenziato nella “strange situation”, ma non il secondo. E' provato che i bambini con diagnosi di autismo cercano la vicinanza sociale in situazioni di stress eccessivo ed esplorano maggiomente l'ambiente in presenza del caregiver. Il pattern di attaccamento in questi casi può essere sicuro.La procedura di valutazione (la “strange situation”) è coerente con la definizione di attaccamento come sistema biologicamente programmato, che si  è evoluto in funzione di protezione del bambino da minacce esterne (externally-diven attachment behavior). Tuttavia, proseguono gli autori, nella vita quotidiana l'attaccamento (come ricerca di vicinanza, aggiungo io) si manifesta come frequente legame sociale in assenza di minacce (internally-driven attachment) ed proprio in queste circostanze che la madre fornisce al bambino le opportunità di apprendere.Quindi la differenza tra bambini autistici e bambini con sviluppo tipico non è il loro attaccamento in situazioni di stress o minaccia, ma la loro propensione ad ingaggiarsi spesso in interazioni sociali prossime, di lunga durata, con persone diverse, in assenza di motivazioni ambientali (ossia motivate esclusivamente dalla propensione alla relazione con conspecifici) e di minacce.
• Crittenden, nel già citato lavoro del 2017, oltre a ritenere la insostenibilità di diagnosi basate esclusivamente su criteri sintomatologici (e la molto sospetta correlazione tra aumento delle dagnosi e e aumento dei finanziamenti per il trattamento dell'autismo, ndr), insiste nel segnalare che dalla revisione della letteratura da essa condotta, e nella revisione del loro archivio di videoregistrazioni e trascrizioni di videoregistrazioni, emerge con chiarezza che i bambini autistici mostravano comportamenti sintonici con quelli materni, rimanevano intorno alla madre, ma si allontanavano se coglievano gesti corporei molto sottili di disagio della madre, ad esempio rapidi voltafaccia. Questi bambini si immergevano in attività ripetitive se i loro approcci non avevano successo. Le attività stesse potevano avere la funzione di mascherare il disagio del bambino, di creare contingenze da essi stessi controllate, di spostare altrove l'attenzione o tutte queste cose insieme.
Le madri, a loro volta, avevano posizioni del corpo chiuse (proteggevano i loro genitali), non rispecchiavano i movimenti del figlio, erano a disagio se i figli cercavano di avvicinarle e si mostravano calde se erano loro ad avviciarsi ai figli, eludevano il contatto visivo mostrando espressioni positive del volto, esprimevano compiacimento nei riguardi dei figli, pur mostrandosi preoccupate per il loro sviluppo.
• Le osservazioni di Vivanti, di un possibile splitting tra i drive dell'attaccamento, trovano una possibile analogia con gli studi di Le Doux sulla duplicità dei circuiti riguardanti fenomeni apparentemente sovrapponibili, ossia i vissuti coscienti di paura o ansia e i comportamenti difensivi relativi a pericoli o minacce. Il meccanismo di percezione e protezione dalla minaccia è rapido, automatico, inconscio. Questo sistema è connesso con quello specificamente emozionale, ma i due circuiti nell'attivazione possono divergere (soppressione farmacologica dei sintomi vegetativi della paura, ma non dell'emozione connessa), funzionare in sincronia, attivarsi in reverse  dall'ansia all'attivazione vegetativa.

CONCLUDO DICENDO: E' possibile che lo slittamento di significati del termine attaccamento abbia prodotto un cortocircuito interpretativo che ha infine condotto a una riduzione del suo significato originario. Questo riduzionismo terminologico-concettuale può aver contribuito a limitare il campo di studio riguardo ai fattori costitutivi ed evolutivi dei legami affettivi tra bambino e caregiver, da cui è, infine, scaturita la definitiva esclusione dell'ipotesi di un coinvolgimento del sistema di attaccamento nella psicopatologia dell'autismo infantile.

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